Premio colore 2016 a Franco Fontana

La fotografia è nata come riproduzione della realtà ed etimologicamente ci dice che tale riproduzione è attuata dalla luce della scena sul foglio di carta mediante una successione di passaggi fotochimici. Questa accezione di fotografia ha raggiunto i livelli più alti nel neorealismo e nei realismi fotografici dei vari autori, che hanno fatto dell’autenticità e dell’obbiettività una ricerca sempre costante per sviscerare tutte le possibili sfumature della realtà, in particolare della vita umana. Lo stile (cosa molto vaga ma fortissima) è l’elemento qualificante di distinzione. Uno sguardo alla storia della fotografia sembra indicarci il Bianco & Nero come il mezzo privilegiato di riproduzione della realtà. Franco Fontana è fotografo perché usa la macchina fotografica. Nel momento in cui la fotografia in Bianco & Nero impera, Fontana propone fotografie a colori in cui scompaiono quasi tutti gli elementi aventi appariscente richiamo alla realtà quotidiana. Ogni pittorialismo è escluso. Rimane quasi esclusivamente il colore. Un colore ad alta croma, quasi a richiamare i colori dell’infanzia, ma ricco di sfumature, queste si reali, che ci fanno apprezzare quei dettagli della scena quotidiana solitamente non colti da uno sguardo veloce e forse distratto dagli eventi. Pochi elementi, a volte uno solo, sono presenti per ricordarci che si sta osservando una fotografia: un albero, la china di un colle, un’onda, un’ombra… Verrebbe da dire che il colore di Fontana è astratto, ma subito la parola astratto appare riduttiva, forse impropria, e l’unico modo per qualificarlo è chiamarlo “colore vero”, dando ragione alla storica frase manzoniana che “Il vero solo è bello”. Arriviamo così a vedere come Fontana, per il quale, in questa ricerca di verità, non c’è solo la scena, ma soprattutto c’è il fotografo: “La fotografia è un atto di conoscenza, è possedere quello che senti. Usi l’esterno, usi il mondo, per significare quello che sei, che rappresenti. Infatti, quello che si fotografa non è quello che vediamo, ma quello che siamo. Al mondo si scopre solo quello che ci portiamo dentro. Quando vado a fare una foto, vado a prendere, vado a specificare quella che è la mia testimonianza. Vado a trovare, non a cercare, so già cosa cerco. Il racconto di ciascuno è soggettivo.” (da “Franco Fontana Full Color”: San Gimignano, Galleria di Arte moderna e contemporanea “Raffaele De Grada”). Poi è intervenuto il mestiere di fotografo. La pubblicità, i fotolibri a tema. Il colore vero non è più solo. Ma la essenzialità della configurazione rimane e il colore continua ad essere elemento attraente e significante. Un discorso nuovo nasce nel momento in cui Fontana incomincia ad usare il colore digitale. La scena non serve più. La scena è esclusivamente nella sua mente. Fontana arriva al limite in cui la creazione fotografica, nel suo aspetto più libero, rinuncia a ogni riproduzione della realtà (Otto Steiner). L’immaginazione si manifesta come libertà interpretativa della realtà ed il colore ad alta croma diventa uno degli stilemi di Fontana. La figura umana, quando c’è, è anonima, ad esclusione dei (pochissimi) ritratti. Il corpo umano nudo o la sua ombra sono colti nei dettagli come segmenti di forma pura, sia nei nudi viventi e colorati in piscina, sia nei nudi di pietra e polvere consolidata, quasi acromatici, nel sorprendente inno all’erotismo nel cimitero di Staglieno. Qui il colore funziona come elemento di contrasto tra il corpo e il restante, così come tra questi e quei nudi, questi vivi e quelli morti.

Claudio Oleari